Del populismo sappiamo molto. Ciò che sappiamo lo abbiamo compreso tardi ma comunque prima di altri cortocircuiti della democrazia rappresentativa. Ma ciò che conosciamo lascia intuire che c’è tanto ancora da scoprire.
“Cosa abbiamo capito del populismo (e cosa no)”, titolo e filo conduttore del dialogo – condotto dalla giornalista Eva Giovannini, conduttrice di Rai 2, tra il giornalista Ferruccio de Bortoli e il sociologo Ilvo Diamanti, andato in scena sabato sera al teatro Olimpico per il Festival Città impresa, è al contempo un’affermazione consolatoria per coloro che sono disorientati e una chiave di lettura della quotidianità per tutti gli altri. De Bortoli osserva che «uno dei caratteri del populismo è l’insofferenza per le autorità indipendenti». Pur senza citarlo, il riferimento è all’ultimo episodio accaduto in ordine di tempo, ossia l’istituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Il presidente della Repubblica ha firmato la legge sabato e ha raccomandato che la commissione non abusi degli ampi poteri di cui è dotata, ricordando ai presidenti di Camera e Senato, tra le altre cose, l’indipendenza di Bankitalia.
L’esempio della commissione d’inchiesta – che non si occuperà dell’accertamento di vicende ma di tutte le banche, anche quelle non coinvolte nella crisi e che svolgono con regolarità la propria attività – è paradigmatico del populismo. «Spesso si sente dire da chi governa o tenta di governare il Paese che il popolo è sovrano – riflette de Bortoli – ma di solito tendono a dimenticare la seconda parte dell’articolo costituzionale al quale si appellano. Ossia che “la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”». Così se per l’ex direttore del Corriere della Sera «il consenso dà la legittimazione a governare ma non dà la facoltà di fare ciò che si vuole», per Diamanti l’elemento caratterizzante del populismo «si declina nella sfiducia non solo verso gli altri, quelli al di là dei confini, ma anche verso coloro che ci governano, verso coloro che abbiamo finora giudicato competenti, siano esse persone o istituzioni nazionali e internazionali». In questa prospettiva il populismo, ricorda de Bortoli «è la tentazione di tutte le democrazie liberali di fronte ad una globalizzazione disordinata». Una colpa dei «liberali – ammette il presidente di Longanesi – che hanno concesso alle élite globalizzate di staccarsi dal territorio e quindi allontanarsi dal popolo».
Non a caso la comunicazione e il linguaggio sono organici al populismo. «I populisti offrono risposte sbagliate a domande giuste usando un linguaggio che evade i problemi – spiega de Bortoli -. Vivono sulle emozioni del momento indicando, giorno dopo giorno, un nemico diverso contro il quale scagliarsi. La ragione è semplice: il populismo ha bisogno di semplificare tutto. Purtroppo però non esistono soluzioni semplici a problemi complessi». Accanto a lui Diamanti annuisce. «Il populismo nasce da una frattura tra centro e periferia del potere – è la sua riflessione – portando a pensare che tutti possono fare tutto e cavalcando l’onda, tra l’altro, dell’illusione della democrazia diretta, ossia quella senza mediazione». Ciò offre il fianco a un pericoloso atteggiamento. «Se il populismo parte dallo stato d’animo di chi vive con disagio l’idea di avere perso il governo della propria vita, sensazione ampliata nell’era digitale, le persone sono portate a cedere parte della loro libertà in cambio di un maggiore senso di protezione». Una discriminante che fa inorridire tanti ma evidentemente non tutti.