«Oggi il motore sociale è la ricerca: non si fa se non è alimentata dal sapere. E questo è la sete di conoscenza che abbiamo dalla nascita»
Un figlio della cultura classica. Christian Greco, vicentino, 47 anni, egittologo di fama, direttore del Museo Egizio di Torino, è diventato molto altro in questi 8 anni di “celebrità” conquistata solo col lavoro sodo. Esce dalla commissione di concorso per la Fondazione del Mont’e Prama, una nuova realtà che rivoluzionerà la Sardegna, ed è pronto ad entrare in riunione col comitato per i Beni archeologici del ministero. Una vita così, tra una mostra da progettare, una lezione universitaria e un meeting. Greco, come nasce il suo libro per ragazzi “Tutankhamun” in uscita per De Agostini? C’è una doppia ricorrenza nel 2022: il 200° dell’interpretazione dei geroglifici e il 100° della scoperta della tomba di Tutankhamun da parte di Carter. È bello spiegare quello che i ragazzini trovano nelle prime pagine del sussidiario, la storia del faraone bambino, il periodo di Amarna. È un tentativo di avvicinarli ad una grande scoperta archeologica per imparare la biografia degli oggetti: devo dire che non ho mai faticato così tanto a scrivere, volevo essere il più semplice possibile. Ho rifatto tutto tre volte per trovare il registro giusto. Sarò il 21 maggio al Salone del libro di Torino. A Vicenza il 7 maggio dialogherà con il manager Marco De Masi sui benefici della cultura umanistica, di cui lei è un esito, rispetto alla tecnologia dominante. Ho una visione semplice. La società non può fare a mano della cultura umanistica. Oggi il motore sociale è la ricerca che non può vantare progressi se non viene alimentata dal sapere. E il sapere è la sete di conoscenza che abbiamo fin da bambini, di quell’idea di fare parte di un processo evolutivo della storia e della società. Questo è fondamentale in piena era digitale. Solo se mettiamo l’uomo e il sapere al centro, il digitale può diventare un mezzo che ci permette di raggiungere questo fine. L’umanesimo oggi è digitale: è grazie alla tecnologia che indaghiamo la materialità degli oggetti del passato, che esploriamo mondi lontani e ambienti che non conoscevamo. Ma questo ci impone domande fondamentali su testi, fonti, sull’origine delle cose. Oggi abbiamo bisogno di filosofi e antropologi perché non capiremmo la società in trasformazione. Serve un nuovo modello che colleghi sapere materiale e immateriale, con uomo e ambiente al centro. Le innovazioni digitali devono essere al nostro servizio, non risultati fini a se stessi.Umanesimo sa di passato, digitale sa di futuro. Perché questi mondi si guardano con sospetto?Perché non si conoscono. Dobbiamo sederci e incontrarci, porre delle domande e delle sfide. Spesso lavoriamo su piani diversi. Un esempio: all’Egizio arrivano tante aziende, tante società che ci propongono progetti. Ma io chiedo sempre quali sono le domande, dove vogliamo andare. Lo spirito dell'”ecumene”, la casa che tutti abitiamo, si fonda su una idea rinascimentale di scienze umane e scienze dure che devono dialogare. Nel secolo scorso abbiamo vissuto una iperspecializzazione: oggi per comprendere la complessità dobbiamo tornare alla compenetrazione. All’Egizio ci sediamo spesso insieme, l’architetto, l’economo, il curatore, il responsabile della sicurezza, quello della didattica, quello della comunicazione: solo così risolviamo i problemi. Cosa può fare la formazione, cosa può fare un museo per favorire questa logica? Dico da anni che dovremmo dare accesso gratuito ai musei perché diventino luoghi di formazione per tutti. Le collezioni, dovunque, sono aule di formazione naturali: si possono studiare all’Egizio la matematica euclidea e la geometria con esempi davanti. Dobbiamo cambiare i nostri paradigmi. La nostra mente non è settoriale. Il Pnrr ha raccolto alcune di queste sfide? Mi sembra di sì, il ministro Messa sta lavorando per aprire la formazione e la ricerca universitaria raccordandole col territorio, col mondo dell’economia, facendo diventare le università luoghi permeabili ad altri partner. Il mondo dell’impresa ha proprio bisogno di ricerca per crescere. Qual è il suo successo in 8 anni di direzione del museo?La cosa più importante è aver messo al centro la ricerca: scavi, pubblicazione dei papiri, divulgazione dei contenuti di ricerca senza che siano segreti di stato, un museo non deve essere geloso di quello che scopre, dobbiamo essere trasparenti e condividere. Ho trovato 13 dipendenti e siamo ora 50, tutti in servizio nonostante i due difficili anni della pandemia. Lavoriamo in squadra con competenze diverse, dalla finanza alla filologia, recuperando l’idea di una officina in cui tutti danno impulso al motore. La ricerca ci ha consentito di fare mostre, di svelare mummie, di riportare pubblico più volte al museo. Il pubblico delle passeggiate col direttore ogni volta mi chiede dei progressi dell’egittologia: i musei non devono essere arroganti e centellinare le informazioni, devono rendere il pubblico partecipe.A che punto è con il lavoro preparatorio della mostra annunciata in Basilica Palladiana per dicembre 2022? Ci tengo moltissimo e sto lavorando. Voglio farla e sono ottimista. Ci legheremo alla meravigliosa mostra in chiusura, su quell’idea di fabbrica che racconterà come gli artigiani egizi progettarono le tombe ipogeee nella Valle dei Re con testi cosmografici e il linguaggio dell’oltretomba.