La parola «dazi», non a caso ripetuta per ben 42 volte in 3 ore di convegno, è ilperno delle preoccupazioni degli industriali italiani a seguito della vittoria delle elezioni da parte di Donald Trump. È quanto emerso venerdì all’evento inaugurale delfestival «Bergamo Città impresa», il cui ricco programma si conclude domani. «L’esito delle elezioni Usa suscita preoccupazione in Europa – ha spiegato Filiberto Zovico, presidente del Festival -, ma il mondo dell’impresa ha una sola strada per risolvere i problemi: guardare la realtà e trovare soluzioni industriali». E la realtà parla di una terra bergamasca nella quale l’export è centrale con un valore 2023 di 20.763 milioni di euro e importazioni pari a 13.689 milioni, con un saldo positivo per 7.074 milioni. Gli Usa, secondo sbocco del «made in Bergamo» dopo la Germania. Dazi sull’import come quelli annunciati da Trump in campagna elettorale (10%-20% per tutti, addirittura del 60% verso la Cina) potrebbero cambiare drasticamente il panorama. Per la verità, ha ricordato il presidente Camera di commercio di Bergamo e padrone di casa, Carlo Mazzoleni, dazi su alluminio e acciaio esteri «erano già stati introdotti nella prima presidenza Trump e sono stati confermati e aumentati dall’amministrazione Biden». La situazione «è complessa, ma il sistema orobico può uscire vincitore contando su produttività, competitività, ricerca, formazione delle competenze, digitalizzazione, cultura finanziaria, attrattività ». Non si può invece contare, ha attaccato Mazzoleni, «sul piano di transizione 5.0, un mostro inefficace per complessità e farraginosità». Intervistata dal giornalista Daniele Manca, la presidente e a.d. della holding di famiglia, Emma Marcegaglia, ha puntualizzato che «Trump ha dimostrato di essere completamente imprevedibile. Possiamo fare ipotesi sulla sua politica, ma certezze non ce ne sono». È però certo che «ha detto cose che fanno saltare sulla sedia, soprattutto se le ascolta una donna». Se i dazi diventassero realtà, ha rilevato Marcegaglia, «ci sarebbe da allarmarsi in un’Europa che esporta 570 miliardi di euro di prodotti in Usa». L’ipotesi della presidente, però, «è che Trump li userà solo come minaccia negoziale verso gli stati esteri». Opinione condivisa da Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, le cui analisi anticipano «ima crescita americana più forte nel breve periodo, ma anche inflazione più alta a causa del forte impatto sul debito pubblico». Paolo Magri, presidente Comitato Scientifico Ispi, ha sottolineato la necessità che, tra i colossi Usa e Cina, l’Ue sia capace di far fronte comune. E quest’ultima una delle esigenze più condivise dagli industriali, emersa anche dalla tavola rotonda con Giuseppe Pasini, presidente Feralpi Group, Daniele Fulvio Pastore, direttore regionale Lombardia Nord Intesa Sanpaolo, Monica Poggio, presidente Camera di commercio Italo- Germanica e a.d. Bayer Italia, Eugenio Puddu, socio DeloitteAudit & Assurance private e Giovanna Ricuperati, presidente Confindustria Bergamo. Le aziende orobiche, hanno detto, hanno grande capacità di reazione e dunque di velocità decisionale: grande vantaggio rispetto ad altre nazioni nelle quali iboard hanno dinamiche decisionali che durano mesi. Per Pastore, «c’è percezione di forte incertezza, ma ilvantaggio è un territorio di aziende forti e solide che hanno possibilità di investire». «Ci troviamo in un sistema industriale pazzesco – spiega Ricuperati -: Bergamo e Brescia sono al primo e secondo posto nella classifica dei 176 territori manifatturieri europei. Si può guardare al futuro con fiducia, se applicaremo i punti del piano Draghi, credendo in un’Europa che non mortifichi l’industria, ma la supporti nell’essere libera di esprimere il suo spirito imprenditoriale».
Corriere del Veneto / di Gian Maria Collicelli L’obiettivo è «riportare sotto i riflettori l’economia reale, i territori, l’industria». (altro…)