L’obiettivo è noto ma difficile da raggiungere: destinare il 2% del Pil alla difesa. Con il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca cresce il pressing sui Paesi che, come l’Italia, non lo hanno raggiunto. Anche perché la difesa comune è una scelta non più rinviabile, a meno che l’Europa non voglia condannarsi all’irrilevanza. Il problema è trovare il modo per finanziare le maggiori spese di difesa.
«Credo che nessun politico italiano riuscirebbe a convincere gli elettori a tagliare il welfare per aumentare le spese di difesa, perché noi, a differenza della Germania, non abbiamo margine di bilancio», ha ricordato ieri Enrico Letta, intervenendo al Festival Città Impresa a Bergamo. Al Consiglio europeo informale di due giorni fa la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha ribadito che i costi non si possono scaricare sui cittadini. E, se è vero che l’ipotesi di usare debito comune per la difesa non è più un tabù, come ha ricordato l’eurodeputato Pd Giorgio Gori, a oggi non c’è nulla di concreto sul tavolo. Ma esiste un’alternativa e a suggerirla è proprio il presidente dell’Istituto Jacques Delors: istituire una linea di credito del Mes per la difesa. «Non vedo ragioni per non utilizzarlo per finanziare le necessità di difesa europea. Servirebbe anche all’Italia, per uscire dal cul de sac in cui si è infilata», ha spiegato l’ex presidente del Consiglio, facendo riferimento alla mancata ratifica da parte dell’Italia che sta bloccando la riforma a livello europeo. «La vittoria di Trump obbliga l’Europa a diventare adulta: se non andiamo verso una maggior integrazione nei prossimi 5 anni, i Paesi europei dovranno decidere se essere una colonia americana o cinese», ha avvertito Letta. «La mancanza di integrazione in alcuni settori è molto dannosa. Ogni anno 300 miliardi di euro di risparmi europei finiscono nel mercato finanziario Usa e andando lì rafforzano le imprese americane che poi tornano in Europa a comprarsi le imprese europee», ha ricordato l’ex premier, ribadendo la necessità di intensificare gli sforzi per unificare i mercati di telecomunicazioni, energia e finanza e rilanciando l’idea di «costruire un ventottesimo Stato virtuale europeo con un suo diritto commerciale, applicabile ovunque in Europa».