«Quelli delle aree periferiche sono voti ambìti perché sono zone popolose e quindi pesano Ma chi pensa di andarci solo in campagna elettorale si illude: non otterrà grandi risultati»
Ritrovare una connessione sentimentale con le periferie. Vale per tutti i partiti, ma vale soprattutto per il centrosinistra che a queste latitudini ha perso appeal.
Anche di questo parlerà Giovanni Diamanti. Il cofondatore di Quorum e YouTrend, che si occupa di comunicazione politica e ha seguito campagne elettorali vincenti come quella del sindaco di Milano Beppe Sala, sarà uno degli ospiti sabato di un incontro durante “Festival Città Impresa” a cui parteciperà anche il sindaco di Bergamo Giorgio Gori: “Frattura città-periferia, come riconnettere i territori”.Un grande classico delle campagne elettori è la promessa di dare attenzione alle periferie dimenticate.Sì, quelli dell’elettorato “periferico” sono voti ambiti perché abitualmente sono zone molte popolose e quindi elettoralmente pesano. Come sono cambiati i flussi di voto in questi anni?Semplificando possiamo dire che nel passato le periferie guardavano a sinistra, oggi guardano più a destra. Questo cambiamento si è visto chiaramente negli ultimi dieci anni ed è uno scenario che si presenta simile sia alle elezioni comunali che alle elezioni politiche. Il Pd è diventato il partito delle Ztl? La tendenza è questa. I dati ci dicono che il Pd prende più voti nelle grandi città e nei centri città. È il sintomo di una politica che ha trascurato il rapporto con le periferie e i ceti popolari. Certo, è una tendenza globale, non soltanto italiana. Anche se i dati delle presidenziali francesi che ci siamo appena lasciati alle spalle dimostrano che non è ineluttabile: Jean-Luc Mélenchon ha sfondato nelle periferie. Il centrodestra, quindi, viene percepito come più vicino ai problemi delle persone?Direi di sì e il tema della sicurezza, ma anche quello dell’immigrazione, hanno avuto un peso non irrilevante. E il centrosinistra ha commesso l’errore di offrire delle ricette inseguendo il centrodestra, annacquando i priori valori.I partiti, a prescindere dallo schieramento, fanno però una certa fatica a connettersi con le realtà periferiche. Perché?Perché sono lontane dal fulcro del potere, anche amministrativo. I centri storici sono il biglietto da visita per chi viene da fuori e anche le attività culturali si concentrano spesso in centro. Invece ciascun quartiere dovrebbe essere considerato una piccola città, ciascuna con il proprio centro, i propri luoghi di aggregazione.Lei cosa consiglierebbe ad un candidato sindaco per entrare in sintonia anche con le periferie? Cosa dovrebbe proporre?Le proposte amministrative non sono il mio mestiere, ma ciò che consiglierei è di cambiare forma mentis, di prestare attenzione all’approccio e anche alla visione d’insieme: la città è un tutt’uno e ciascun quartiere deve avere pari dignità di ascolto. È la politica che deve fare il primo passo. Viviamo in un Paese dove la rabbia è diventata rancore e questo rancore diminuisce nella misura in cui diventa una priorità parlare con la cittadinanza. Ma deve essere una priorità vera: l’attenzione alle periferie deve essere permanente, se in periferia ci si va solo in campagna elettorale non si ottengono grandi risultati.