Questo venerdì, lungo il limes storico, culturale e geografico che divide Brescia da Bergamo, per la prima volta le due territoriali di Confindustria si incontreranno a Palazzolo sull’Oglio per celebrare le rispettive assemblee annuali. L’evento (destinato a chiudere in bellezza l’anno che ha visto gli odiati-amici o, se si preferisce, gli amati-nemici, unire le proprie forze in un’unica Capitale della Cultura) non è simbolico. Esattamente dove il 7 luglio 1191 i due eserciti si scontrarono nella battaglia della Malamorte da cui nacque questo campanilismo, ci si guarderà in faccia per rilanciare (è il titolo) «la piattaforma manifatturiera d’Europa».
Brescia e Bergamo sono d’altronde due città-impresa: nel 2022 Brescia ha toccato i 43 miliardi di Pil (di cui 14 dall’industria) e Bergamo i 37 (di cui 12,5 dall’industria). Massimo Tedeschi ha scritto sul Corriere lo scorso 4 giugno a riguardo di questo difficile, eppure naturale, rapporto: «Numeri alla mano, se Brescia e Bergamo fossero uno Stato dell’Ue sarebbero il 22esimo per popolazione, 20esimo per export, 19esimo per Pil, 18esimo per Pil industriale, 12esimo per propensione all’export e 11esimo per Pil pro capite». Dei super motori ma con un atavico, incomprimibile senso di inferiorità verso la grande, finanziariamente avanzata e costitutivamente innovativa capitale morale milanese.
«Bergamo — ragiona il rettore dell’ateneo di Bergamo, Sergio Cavalieri — ha per troppo tempo mantenuto un atteggiamento di introversione che non le ha per niente giovato. Credo che da questo ritrovato asse con Brescia possa arrivare la massa critica necessaria per interloquire a livello europeo». Appunto la piattaforma manifatturiera europea che stanno progettando le due Confindustria per provare a uscire dalle secche di una congiuntura ormai strutturalmente avversa al tradizionale Dna dell’industria pedemontana lombarda: «Oltre all’addio di realtà importanti come Italcementi (divenuta Heidelberg Materials, ndr), Tenaris (Lussemburghese per statuto e argentina per azionariato), Ubi Banca (acquisita da Intesa Sanpaolo anche se parecchie filiali vestono oggi la casacca dell’emiliana Bper) e la stessa Atalanta (la cui maggioranza è detenuta da inizio 2022 da Stephen Pagliuca, co-chairman di Bain Capital) i gruppi che tuttora mantengono i piedi saldamente piantati in provincia come Brembo o Radici hanno ben compreso che il cambiamento di business non è più rinviabile. Brembo, ad esempio, da mero produttore di dischi frenanti di ghisa ha scommesso sulla servitizzazione delle proprie soluzioni riuscendo addirittura a uscire dal recinto automotive».
Una rete forte
Sostenere gli imprenditori nel modificare il proprio business model
Ecco, l’automotive, appunto. Soprattutto la pletora di contoterzisti disseminata lungo il nastro nero d’asfalto dell’autostrada A4 che dagli anni Settanta milita nelle complesse catene di fornitura dei marchi tedeschi e che oggi, con l’elettrificazione forzata (dal Fit for 55 di Bruxelles) della mobilità, rischia grosso. Prosegue il dean dell’UniBg: «Si tratta di una transizione strategica ma da affrontare con grande attenzione. Per questo se ne discuterà anche il 9 novembre a Brescia e dal 10 al 12 a Bergamo nel corso del Festival Città Impresa. Abbiamo di fronte tre sfide da affrontare: fornire alle nostre imprese nuove competenze per innestare il cambiamento, travasare al settore meccanico le competenze elettroniche già esistenti sul territorio (ad esempio nelle branch di Abb, Snider Electric, Gewiss, Scame), aiutare gli imprenditori, in particolare quelli che sono rimasti fedeli al family business, a modificare il proprio business model per essere più responsivi, resilienti e flessibili».
Una manifacturing valley che, complice forse il periodo pandemico che ha fortemente ridotto gli spostamenti, si è scoperta persino attraente dal punto di vista turistico con il proprio patrimonio storico-artistico illuminato dall’evento Capitale della Cultura ma, anche, con una montagna di mezzo che ricomincia ad attrarre capitali: il rilancio degli impianti sciistici di Colere, in val di Scalve, a opera del give backdi un expat come il banchiere londinese Massimiliano Belingheri, è il confortante segnale dell’inversione di tendenza.