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Airbnb e la svolta dello smart working

Il Ceo Brian Chesky: in sede ci riuniremo una settimana ogni tre mesi. Per lui l’ufficio inteso come luogo fisico è un concetto “pre-digitale”

AGI – È uno dei lasciti più rilevanti dell’emergenza Covid, durante la quale, confinati in casa e costretti a produrre, poco altro si poteva fare.

Ma qualcosa è veramente cambiato nel nostro modo di rapportarci al lavoro, all’ufficio e all’organizzazione dei tempi casa-occupazione. Insomma, dallo smart working non si torna indietro. “Apre a grandi opportunità per le imprese e i lavoratori”, ha detto pochi giorni fa il ministro del Lavoro, Andrea Orlando intervenendo al “Festival Città impresa” a Vicenza, sottolineando le necessità che ci siano regole. Dunque, che cos’è smart working, cosa telelavoro, tempi, diritto alla disconnessione.

Dall’altra parte dell’Oceano si spinge l’acceleratore sullo smart working. Almeno a stare alle parole del  Ceo di Airbnb, Brian Chesky. “It’s over” ha detto in una recente intervista, riferendosi al lavoro per come lo conosciamo, parlando dell’ufficio come di un qualcosa “pre-digitale”, di uno spazio che a oggi non avrebbe senso inventare (“se l’ufficio non esistesse, mi chiedo, lo inventeremmo?”).

Quella di Airbnb è la posizione più decisa a favore del lavoro da remoto. Anche Twitter a inizio pandemia si era espressa a favore dello smart working totale, ma con il terremoto Elon Musk è un passaggio da mettere a fuoco. Apple invece ha optato per il modello ibrido. Dal 23 maggio la compagnia passerà a un modello con giorni di ufficio obbligatori il lunedì, martedì e giovedì. Ma un gruppo di dipendenti non l’ha presa bene.

Per Chesky l’unico spazio di lavoro è “Internet”. Solo parole? Il Ceo ha recentemente annunciato che i dipendenti dell’azienda potranno lavorare da qualsiasi luogo, anche (per un massimo di tre mesi) all’estero. Ha anche abolito la retribuzione basata sulla posizione, almeno negli Stati Uniti. Nei giorni successivi all’annuncio, la pagina dedicata al lavoro di Airbnb ha ricevuto un milione di visitatori.

Certo, la società ha licenziato un quarto del suo personale durante la pandemia, ma ha anche rilasciato utili del primo trimestre che corrispondevano molto ai livelli pre-pandemia. La compagnia torna attrattiva, ma è qualcosa di diverso da quello che era prima dell’emergenza Covid. In Airbnb “ci riuniremo una settimana al trimestre”.

“Se vuoi sapere come sarà il futuro del posto di lavoro, guarda le aziende giovani, perché le aziende giovani fondamentalmente non hanno alcuna eredità. E le giovani aziende sono flessibili, mobili, sono un po’ più nomadi. Penso che sia probabilmente come sarà il posto di lavoro del futuro tra 10 anni”.

I numeri dello smart working in Italia

Secondo la ricerca dell’Osservatorio Smart Working 2020 di Polimi, durante la fase acuta della pandemia il lavoro agile in Italia ha coinvolto il 97% delle grandi imprese, il 94% delle PA italiane e il 58% delle PMI, per un totale di 6,58 milioni di lavoratori, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani, un numero oltre dieci volte più alto rispetto ai 570 mila censiti nel 2019.

A marzo 2021, a un anno dal primo lockdown, l’Osservatorio ha stimato che erano 5,37 milioni gli smart worker italiani, di cui 1,95 milioni nelle grandi imprese, 830 mila nelle PMI, 1,15 milioni nelle microimprese e 1,44 milioni nella PA.

Nel secondo trimestre il numero ha iniziato progressivamente a diminuire fino a 4,71 milioni, con il calo più consistente nel settore pubblico (1,08 milioni), seguito da microimprese (1,02 milioni), PMI (730 mila) e grandi aziende (1,88 milioni). A settembre il numero degli smart worker si è attestato a 4,07 milioni, contando complessivamente 1,77 milioni di lavoratori agili nelle grandi imprese, 630 mila nelle PMI, 810 mila nelle microimprese e 860 mila nella PA.

Sempre secondo le rilevazioni dell’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano, il lavoro agile resterà nell’89% delle grandi aziende e nel 62% delle PA, con formule ibride: in media 3 giornate “agili” nelle prime, 2 nelle seconde.

Fino al 31 agosto 2022 c’è possibilità per i datori di lavoro privati di ricorrere al lavoro agile in forma semplificata senza bisogno di stipula degli accordi individuali, come previsto da una modifica introdotta al disegno di legge per la conversione del decreto Riaperture. Viene, inoltre, prorogato, fino al 30 giugno 2022, il diritto dei dipendenti, pubblici e privati, “fragili” di svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile quando ciò sia compatibile con le caratteristiche della prestazione.

Da settembre la parola passa poi alle aziende, che hanno tre mesi per valutare la situazione e comprendere nel profondo quanto sia cambiato il mercato del lavoro dopo l’emergenza Covid.

L’Europa e il diritto alla disconnessione

E nel resto dei paesi UE? Secondo i dati di Eurostat (aggiornati a marzo 2021) la Finlandia con il 25,1% degli occupati che lavora da casa è stato il Paese Ue con la più alta diffusione dello smart working. Seguono il Lussemburgo con il 23,1% dei lavoratori e l’Irlanda con il 21,5%. L’Italia si colloca appena sotto la media europea, con il 12,2%.

Le percentuali più basse di lavoratori in smart working sono state segnalate in Bulgaria (1,2%), Romania (2,5%), Croazia (3,1%) e Ungheria (3,6%). Secondo la Commissione Ue il tema vero è il diritto alla disconnessione. Per far sì che questo sia garantito in tutti gli Stati membri, serve una direttiva a livello europeo che tuteli i lavoratori.

“Attualmente, circa il 37% dei posti di lavoro consentono il lavoro a distanza. Nel 2019 solo il 5% degli europei lavorava in smart working, mentre nell’aprile del 2020 la percentuale è salita al 40%”, ha detto di recente il Commissario europeo per il lavoro e i diritti sociali Schmit, secondo cui “lo smart working può migliorare la produttività, il salario, la flessibilità e incoraggiare un buon equilibrio di vita” avvertendo però al contempo dei rischi legati a questa modalità come condizioni non idonee, numero di ore eccessivo e orari di lavoro imprevisti.

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