Dal 2016 in poi gli investimenti in Italia sono aumentati del 35,7% contro il 4,5% della Germania, una spinta che ha consentito al nostro Paese di recuperare il ritardo accumulato in precedenza. Dal 2008 al 2023, infatti, erano cresciuti solo del 5,3% contro il più 14,9% di quelli tedeschi. I motori di questa accelerazione sono stati Industria 4.0 prima e poi il Superbonus. Una nuova spinta arriverà dal Pnrr. Finora la capacità di spesa dei fondi del Recovery Plan messa in campo dall’Italia è stata piuttosto bassa ma, se la tabella di marcia dei progetti verrà rispettata, l’impatto sulla ripresa sarà positivo. Ripresa che, per quanto lenta, è già in corso. «I dati congiunturali, infatti, ci dicono che il peggio è passato», ha sottolineato Gregorio De Felice, chief economist Intesa Sanpaolo, presentando lo studio «Inversione del ciclo di politica monetaria e prospettive per le imprese», in apertura del Festival Città Impresa di Vicenza.
La lotta all’inflazione è stata quasi vinta e la Bce potrebbe iniziare presto a ridurre i tassi, presumibilmente a partire da giugno. Grazie alla tenuta dell’occupazione e all’aumento dei salari nominali, ci si attende che le famiglie possano recuperare parte del potere d’acquisto perso a causa dell’inflazione e che la ripresa dei consumi possa favorire la crescita. I dati congiunturali, malgrado permangano forti tensioni sul fronte geopolitico, fanno ben sperare. D’altronde con l’incertezza le imprese hanno imparato a convivere, soprattutto i Champions. Tuttavia in tema di competitività tra le aziende italiane ed europee e quelle americane c’è una forte divergenza. «Su temi come la transizione verde serve maggior convergenza tra i Paesi», ha sottolineato Emma Marcegaglia, presidente e amministratore delegato di Marcegaglia Holding, evidenziando come non basta che sia l’Europa a tagliare le emissioni se Paesi come la Cina continuano ad aumentarle. Discorso analogo per l’intelligenza artificiale dove l’approccio «prescrittivo» di Bruxelles rischia di frenare l’innovazione in Europa, che è già molto in ritardo rispetto agli Stati Uniti. Per competere su scala globale serve anche maggior integrazione: «Abbiamo enorme potenziale nell’Ue ma potremmo sfruttarlo meglio se avessimo Unione bancaria e un unico mercato dei capitali», ha aggiunto Marcegaglia, che in qualità di B7 chair sta coordinando per l’Italia il dialogo con i vertici delle federazioni industriali dei Paesi del G7.
L’incompiutezza del progetto europeo rappresenta un punto di debolezza che va superato, secondo Enrico Marchi, presidente del gruppo Save e di Nem-Nord Est Multimedia. Una maggior integrazione deve andare di pari passo con una legislazione che favorisca la competitività. «Le regole europee devono aiutare le imprese, non diventare un ostacolo alla crescita e all’innovazione. Anche perché l’accelerazione negli investimenti che abbiamo visto in Italia arriva soprattutto dal privato», secondo Sonia Sandei, vice presidente di Confindustria Genova. Un fattore decisivo è la velocità nelle decisioni, come ha evidenziato Zeno D’Agostino, presidente della European Sea Ports Organization (Espo). «Nel caso dell’Ets, ad esempio, Bruxelles si è dimostrata incapace di comprendere quello che stava succedendo mettendo a rischio la competitività dei porti europei a vantaggio di quelli di Paesi limitrofi», ha spiegato D’Agostino. Secondo Maria Cristina Piovesana, presidente di Alf Group, il Green Deal e la rotta tracciata dall’Ue in materia di sostenibilità non tengono conto delle esigenze dei Paesi manifatturieri come Germania e Italia e rischiano di penalizzare la produzione.