I ragazzi mai cresciuti degli anni Settanta «Una generazione fragile con tante attese»

La Tribuna di Treviso / di Nicolò Menniti-Ippolito

Il titolo è “Non c’è stata nessuna battaglia” (Marsilio, p. 220, 16 euro), ma in realtà la battaglia c’è stata e molti l’hanno persa.

Il nuovo libro di Romolo Bugaro, da domani in libreria, racconta le fragilità, le attese, le delusioni di un gruppo di quindicenni padovani degli anni Settanta, alle prese con i conflitti politici, la droga che comincia a diffondersi, i pomeriggi passati stazionando davanti a Ricordi o a Rocco. Poi c’è il resto della vita di quegli stessi ragazzi, che Bugaro offre per “lampi” – come dice lui – giusto per far capire com’è andata, alla resa dei conti, la vita di chi ha vissuto quell’intenso pomeriggio degli anni Settanta e forse non se n’è mai staccato.

Questo libro sembra tornare a temi e ambienti del suo primo romanzo “La buona e brava gente della nazione”.«Sono tornato a raccontare Padova. Questi potrebbero essere i personaggi di “La buona e brava gente” quindici anni prima: al posto dei professionisti anni Novanta arrembanti e rampanti, ci sono ragazzi degli anni Settanta, incerti davanti al loro destino».

Adolescenti nella prima parte del romanzo, poi adulti che non riescono a dimenticare la loro adolescenza. «Ci sono alcune persone che diventano adulte, ma moltissime altre, e mi ci metto in mezzo, che sono adulte solo in apparenza. Anche una parte di me è rimasta legata a quegli anni. Simone de Beauvoir dice che essere adulti è una convenzione, che siamo tutti ragazzi che giocano e improvvisamente si trovano vecchi. I protagonisti del romanzo sono colti prima che il loro destino cominci, prima che la vita prenda una direzione. La ferita insanabile è che il tempo è trascorso. La nostra vita è fatta di assenza del noi che siamo stati».

Un romanzo sulla generazione degli anni Settanta?«Gli anni Settanta sono stati magnifici e terribili. La mia è una generazione che è stata devastata dalla eroina e dall’estremismo politico. Che non sono la stessa cosa, ma hanno causato un’enorme quantità di dolore. Oggi ce ne siamo dimenticati».

Per certi versi il libro sembra ricollegarsi a “Occidente” di Camon. «Ho guardato a quel libro, è un grande esempio. Io non sono capace di inventare, ho raccontato con sincerità quella realtà. C’era il Pedrocchi dove si trovavano i neofascisti; c’era piazza dei Signori dove si ritrovava la sinistra; in mezzo, a piazza Garibaldi, c’erano quelli che come i miei protagonisti stavano in mezzo, non si occupavano di politica, pensavano alla Vespa, alle ragazze».

Tutto è raccontato con grande precisione.«Non credo nella bella pagina. A me piace la pagina sporca, con la definizione esatta delle cose, una pagina che riceve dalla realtà i dettagli. La speranza è che attraverso un’enorme precisione topografica della Padova di quegli anni, (le vie, i bar, i negozi) il dettaglio sparisca e la città diventi quella di tutti».Il libro è ricco di personaggi, inventati o reali?«Ho un ricordo vivissimo di quegli anni. Avevo in mente ognuna di quelle voci, anche se poi ogni personaggio, essendo un romanzo, racchiude più persone, più eventi. Quello a cui sono rimasto fedele al cento per cento è il clima di quegli anni, le cose che si facevano, il linguaggio, l’atteggiamento»,

In alcune pagine si descrivono tipologie di personaggi.«È una mia direzione di lavoro, che avevo già usato in “Bea vita” e in parte in “Effetto Domino”. Credo che si possano raccontare anche personaggi complessivi, o una collettivà come personaggio».

Ad un certo punto compaiono i fallimenti bancari, raccontati da un punto di vista inedito. «Mi piace dare la voce al punto di vista dei cattivi. Quello dei buoni è già stato raccontato, i cattivi sono interessanti: il loro punto di vista illumina di più». Anche da adulti questi personaggi portano il soprannome che avevano da ragazzi.«Mi piaceva l’idea di far partire il romanzo con una scena realistica, in cui però il protagonista ha un nome assurdo come “Nick the best one”. Da questa idea è nato il romanzo. Anche nell’altra parte della loro vita, questi ragazzi sono raccontati con i nomi di allora».

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